
Nella mia cucina convivono senza alcun problema il sacro e il profano del cibo, da alimenti che si trovano nelle cucine dei più grandi chef a particolari intingoli, golosità e ossessioni provenienti da tutto il mondo che non verranno mai inseriti nell’Olimpo del food.
Il loro scopo è però il medesimo: risvegliare le mie sinapsi sopite, calmare i miei nervi tesi, suscitare brividi lungo la colonna vertebrale.
Brutte o belle notizie meritano di esser sublimate con un sapore, eccellente o junk che sia, che sappia scuotermi come un paio di maracas, e olè. Se la ricerca spasmodica di emozione attraverso le papille è una patologia io ne sono affetta, e così tante altre persone.
L’olio Itranae è stato il protagonista di uno di questi momenti quando recentemente sono tornata a casa dopo una giornata infinita e, senza nemmeno togliere le scarpe o appoggiare la borsa, ho afferrato un piatto, delle fette di pane di castagne e versato alcune gocce brillanti e profumate. Al primo assaggio ho ritrovato la pace.